Che cos’è il diritto di abitazione?

Il diritto di abitazione è il diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni del titolare del diritto stesso e di quelli della sua famiglia. In particolare il diritto di abitazione è disciplinato dall’art. 1022 ss. c.c.

L’oggetto del diritto di abitazione consiste esclusivamente in una casa di abitazione e nelle sue pertinenze e non anche in locali commerciali o destinati ad attività produttive.

Il diritto di abitazione non può essere ceduto, né la casa che ne è oggetto può essere data in locazione da colui che vi abita. Il titolare del diritto di abitazione è tenuto al pagamento delle spese di manutenzione ordinaria dell’immobile.

Come si costituisce il diritto di abitazione?

Il diritto d’abitazione, traendo origine nell’usus domus del diritto romano, ha natura reale e quindi può essere costituito mediante testamento, usucapione o contratto, per il quale è richiesta ad substantiam la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata di cui all’art. 1350 n. 4 c.c. (Cass. n. 4562/1990).

Chi dichiara il diritto di abitazione?

Il diritto di abitazione spetta esclusivamente al coniuge superstite (nel caso in questione la madre del lettore) e sarà da questi conservato fin quando resterà in vita. In caso di usufrutto o altro diritto reale (es. uso o abitazione) il titolare della sola “nuda proprietà” non deve dichiarare il fabbricato.

E’ possibile cedere il diritto di abitazione?

La cessione del diritto di abitazione è civilisticamente vietata. Vedasi sul punto quanto indicato nell’art. 1024 c.c. Tuttavia, qualora anche fosse ritenuta ammissibile (valgono le considerazioni analoghe rispetto alla cessione del diritto d’uso), sotto il profilo fiscale, non dovrebbe essere soggetta a imposizione diretta, in quanto non risulta espressamente contemplata dalla disciplina del TUIR.

In alternativa (soluzione prudenziale), potrebbe tuttavia configurarsene l’assoggettamento a imposizione come plusvalenza immobiliare (art. 67 co. 1 lett. b) del TUIR), ovvero, al più, come reddito da assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere (art. 67 co. 1 lett. l) del TUIR). In ogni caso si rientra nella disciplina fiscale dei redditi diversi.

Assegnazione della casa coniugale al coniuge

Ai soli fini dell’applicazione dell’imposta municipale propria (IMU), l’assegnazione della casa coniugale al coniuge disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione (art. 4 co. 12-quinquies del D.L. n. 16/2012).

Pertanto, soggetto passivo IMU viene a essere in ogni caso il coniuge assegnatario. Questo ancorché non titolare, neppure pro quota, del diritto di proprietà o di altro diritto reale sull’immobile (vedasi la C.T.R. Bologna 10.1.2020 n. 88/11). Deve essere comunque ricordato che, al ricorrere delle condizioni previste dalla norma, spetterà allo stesso assegnatario l’esenzione dal tributo.

Che differenza c’è tra usufrutto e diritto di abitazione?

La principale differenza tra il diritto d’uso e di abitazione e l’usufrutto è che l’usufruttuario può cedere ad altri il proprio diritto, può concedere concedere l’ipoteca e può anche dare in locazione le cose che formano oggetto di usufrutto.

Chi ha il diritto di abitazione può affittare?

Diversamente da quanto accade per l’usufrutto, la legge stabilisce che: il titolare del diritto di abitazione può servirsi della casa limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia; il diritto d’abitazione non può essere ceduto o dato in locazione.

Chi ha il diritto di abitazione paga l’Imu?

Secondo la normativa sull’Imu 2020 a pagare sono tutti i proprietari di immobili ubicati sul territorio italiano e tutti coloro che risultano titolari di diritti reali di godimento su beni immobili, come ad esempio, l’usufruttuario, il titolare del diritto d’uso e del diritto di abitazione.

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