Locazioni Brevi: guida per intermediari e piattaforme

Il regime fiscale delle locazioni brevi è stato introdotto per la prima volta nell’art. 4 del D.L. n. 50/2017 (conv. Legge n. 96/17). La norma ha introdotto la definizione di locazione breve ed ha introdotto in capo agli intermediari immobiliari e ai gestori dei portali telematici, di applicare l’imposta sostitutiva della cedolare secca, con aliquota al 21%, ai redditi derivanti dagli affitti inferiori a 30 giorni di immobili ad uso abitativo, anche se accompagnati da servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali.

Possono essere definite locazioni brevi quelle di durata non superiore a 30 giorni nell’anno solare. Per questo tipo di locazione i proventi sono soggetti l’applicazione, da parte degli intermediari immobiliari e dei gestori dei portali telematici, dell’imposta sostitutiva della cedolare secca di cui all’articolo 3 del D.Lgs. n. 23/2011, con aliquota pari al 21%.

La misura in rassegna non ha introdotto alcun nuovo tributo nelle locazioni brevi, dal momento che la cedolare secca, quale forma di imposizione sostitutiva dei redditi fondiari dell’Irpef (nonché delle imposte di registro e di bollo dovute al momento della stipulazione, del rinnovo e della risoluzione del contratto di locazione), risulta disciplinata nel nostro ordinamento sin dal 2011. Né peraltro alcuna modifica è stata apportata con riferimento alla base imponibile sulla quale opera il prelievo sostitutivo, rappresentata dall’intero ammontare dei canoni di locazione percepiti dal locatore nel corso dell’anno solare.

Vediamo, quindi, tutte le novità applicabili al regime delle locazioni brevi di tipo turistico.

Definizione di locazioni brevi

Il comma 1 dell’articolo 4  fornisce una definizione del concetto di “locazione breve“, qualificando in tal senso “i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni”.

L’individuazione di una soglia temporale pari al massimo a 30 giorni in ordine all’attribuzione della qualifica di brevità alla durata della locazione coincide con la classificazione impiegata dall’Amministrazione finanziaria per individuare le “locazioni o affitti di immobili, non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata di durata non superiore a trenta giorni complessivi nell’anno” di cui all’art. 2-bis dell’Allegato A della Tariffa Parte Seconda – Atti soggetti a registrazione solo in caso d’uso del DPR n. 131/86 (T.U.R.), per i quali non sussiste obbligo di registrazione in termine fisso, bensì solo in caso d’uso, secondo le modalità previste dall’articolo 5 del TUR.

Per il computo del periodo di 30 giorni, la stessa Agenzia aveva peraltro già avuto modo di precisare che si rende necessario sommare tutti i rapporti di locazione – anche di durata inferiore a 30 giorni – intercorsi nell’anno con il medesimo locatario.

Nella Legge di Bilancio 2021, approvata dal parlamento, è stato introdotto un limite che porta a quattro il numero di immobili che possono beneficiare della cedolare secca al 21% per le locazioni brevi di un singolo proprietario o gestore sul territorio nazionale. Sul punto si segnala che sono rimasti inascoltati gli appelli delle associazioni dell’extralberghiero e dei property manager contro le limitazioni agli affitti brevi. La norma mira a rendere più equilibrato il mercato delle locazioni brevi rispetto al mondo alberghiero.

Da evidenziare che, comunque, si tratta di una disposizione che riguarda i fortunati proprietari, con cinque o più case destinate agli affitti brevi, ma costituisce un precedente che potrebbe portare a restringere ulteriormente in futuro queste attività. Sulla nuova norma, restano da capire molte cose, fra cui le modalità di trasformazione dell’attività in imprenditoriale, quando viene superato il limite di quattro immobili.

Su questo aspetto, molto probabilmente dovremo aspettare l’uscita di una circolare dell’Agenzia delle Entrate che chiarisca le modalità applicative di questa disposizione.

Cedolare secca

Il comma 2 dell’articolo 4 dispone che “a decorrere dal 1° giugno 2017, ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve stipulati a partire da tale data si applicano le disposizioni dell’art. 3 del Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, con l’aliquota del 21% in caso di opzione per l’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca”.

L’unico elemento innovativo riguarda l’estensione dell’applicabilità di questa modalità di tassazione alternativa dell’Irpef anche ai corrispettivi lordi derivanti dai contratti di sublocazione e dai contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario aventi ad oggetto il godimento dell’immobile da parte di terzi, purché di durata complessiva inferiore a 30 giorni.

Diversamente, ossia nel caso in cui tali contratti superino i 30 giorni, la cedolare secca continuerà a non potersi applicare, in quanto i relativi proventi non costituiscono redditi fondiari, bensì redditi diversi ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. h), del DPR n. 917/86. Mette conto rilevare che, in effetti, né la sublocazione né il comodato risultano idonei a produrre un mutamento degli obblighi fiscali in capo alle parti, trasferendo la titolarità del reddito fondiario da chi vanti un diritto reale sul bene (diritto di proprietà o altro diritto reale) al sublocatore ovvero al comodatario. Al contrario, gli obblighi dichiarativi concernenti i redditi fondiari spettano unicamente al primo, con la conseguenza che la cedolare secca, essendo una modalità impositiva sostitutiva dell’Irpef per i redditi dei fabbricati, non può che trovare applicazione esclusiva in tali fattispecie.

La disciplina in commento estende pertanto il perimetro applicativo del prelievo sostitutivo della cedolare secca nelle locazioni brevi, ma non comporta altresì uno spostamento degli eventuali successivi obblighi dichiarativi. Ciò a dire che, in caso di mancata opzione per la cedolare secca, i corrispettivi lordi percepiti dal sublocatore o dal comodatario continueranno ad essere dichiarati come redditi diversi.

L’estensione della normativa è motivata dal fatto che le locazioni brevi possono essere concluse anche dal locatario che (verosimilmente durante un soggiorno temporaneo in altro luogo) decida di subaffittare l’immobile locato, nonché da chi abbia la mera disponibilità di fatto dell’immobile ovvero la detenzione qualificata appunto in forza di un contratto di comodato. A ben vedere, infatti, nel caso di affitti conclusi tramite piattaforme telematiche, come ad esempio Airbnb, non è infrequente che il soggetto che pubblica un annuncio non sia il proprietario o titolare di diritto reale sull’immobile, ma abbia solamente l’assensodi questi a “mettere in vetrina” il medesimo (si pensi solamente al caso in cui l’affitto dell’immobile sia “gestito” da un parente, fattispecie che potrebbe giuridicamente ricondursi ad un contratto di comodato verbale).

Alla luce di tali considerazioni, l’estensione della cedolare secca sulle locazioni brevi alle ipotesi dei corrispettivi percepiti dal sublocatore e dal comodatario appare assolutamente opportuna.

Locazione breve solo in caso di attività non imprenditoriale

Il regime fiscale delle locazioni brevi rispetta peraltro le medesime limitazioni soggettive e oggettive relative alla qualifica non imprenditoriale delle parti e dei beni oggetto di locazione.

Il comma 1 dell’art. 4 del Decreto conferma infatti quanto disposto dall’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2011, ossia che l’opzione per la cedolare secca può trovare applicazione esclusivamente in relazione ai redditi delle persone fisiche derivanti da contratti di locazione aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo locati per finalità abitative.

Tale condizione si ritiene soddisfatta innanzitutto qualora la locazione attenga ad immobili “censiti nel catasto dei fabbricati nella tipologia abitativa (categoria catastale A, escluso A10) ovvero per i quali è stata presentata domanda di accatastamento in detta tipologia abitativa”, viceversa dovendosi ritenere “esclusi gli immobili che, pur avendo i requisiti di fatto per essere destinati ad uso abitativo, sono iscritti in una categoria catastale diversa (ad esempio fabbricati accatastati come uffici o negozi)”.

Sono invece esclusi dal perimetro applicativo del regime fiscale in rassegna i proventi conseguiti dal proprietario nell’ambito di un’attività di impresa svolta tanto in via abituale che in via occasionale. In tali ipotesi, infatti, i redditi derivanti dall’impiego dell’immobile non costituiscono redditi fondiari ai sensi degli artt. 36 e ss. del DPR n. 917/86, bensì redditi di impresa ai sensi degli artt. 55 e ss. del DPR n. 917/86, ovvero redditi diversi ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. i), del DPR n. 917/86.

L’utilizzo del contratto di comodato per superare l’imprenditorialità

Come detto, la Legge di Bilancio 2021 ha introdotto il limite di 4 immobili per l’esercizio dell’attività di locazione breve. Al superamento della soglia di 4 immobili l’attività deve essere esercitata esclusivamente in forma imprenditoriale. Questo significa necessità di avviare un’attività turistico ricettiva extralberghiara con partita Iva ed iscrizione previdenziale.

Per ovviare a questa fattispecie è comunque possibile sfruttare i contratti di comodato d’uso gratuito per “dirottare” il reddito su altri soggetti, magari appartenenti alla stessa famiglia, al fine di superare la presunzione di imprenditorialità.

Servizi accessori

La questione della corretta qualificazione dei proventi derivanti dalle locazioni brevi di immobili ad uso abitativo, specie con riguardo all’individuazione della soglia oltre la quale la stipulazione di contratti di affitto espunga i relativi redditi dalla disciplina dei redditi fondiari configurando un’attività imprenditoriale per il locatore, diviene ancor più ardua alla luce dell’espressa inclusione, tra i contratti di locazione breve di immobili ad uso abitativo, anche di “quelli che prevedono la fornitura di servizi di biancheria e di pulizia dei locali”.

Servizi che in base alla normativa in vigore possono essere resi dal gestore senza più alcuna problematica.

La sola inclusione delle attività di fornitura di biancheria e, soprattutto, di pulizia dei locali tra quelle ricomprese entro il diritto di godere e disporre dell’immobile da parte del proprietario ai sensi dell’art. 832 c.c., appare dunque del tutto arbitraria e non pienamente giustificata alla luce del criterio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.(21). Sul punto, è interessante anche richiamare quanto previsto dalla legislazione civilistica.

In particolare, il D.Lgs. 25 maggio 2011, n. 79 (“Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo”), all’art. 12, comma 1, lett. a), definisce come extralberghiera l’attività esercitata chi, per fine speculativo o professionale, si obbliga, per periodi di tempo non eccessivamente prolungati, a concedere in godimento un immobile ammobiliato, arredato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.) e a fornire alcuni servizi personali (dazione e manutenzione della biancheria da letto e da bagno, riassetto dei locali, ecc.), nonché a consentire la fruizione delle utenze.

Costituendo il turismo (le locazioni brevi turistiche hanno solitamente durata inferiore ai 30 giorni) materia di competenza legislativa residuale regionale ex art. 117 Cost., si riscontra peraltro una classificazione alquanto disomogenea tra le varie leggi regionali con riguardo alla tipologia di servizi che possono essere offerti in forma non imprenditoriale.

Ruolo sostitutivo degli intermediari immobiliari e dei gestori dei portali

La novità più pregnante nelle locazioni brevi riguarda tuttavia i compiti affidati agli intermediari immobiliari nonché ai gestori dei portali telematici.

Operando una distinzione tra le predette categorie di soggetti, il legislatore sembra avere accolto le perplessità manifestate dai rappresentanti degli intermediari immobiliari che, in audizione dinanzi alle Commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato il 9 maggio 2017, avevano paventato il rischio che la norma precedente, facendo riferimento ai soggetti che “esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali on line”, non risultasse applicabile alle piattaforme on line, in quanto l’attività delle medesime non sarebbe stata riferibile a quella di un vero e proprio intermediario immobiliare.

Il comma 5 dell’art. 4 dispone che i soggetti residenti nel territorio dello Stato che esercitano attività di intermediazione immobiliare, nonché quelli che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare, qualora incassino i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti di locazione, di sublocazione o di comodato, purché di breve durata, “ovvero qualora intervengano nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi”, operino, “in qualità di sostituti d’imposta, una ritenuta del 21%” sull’ammontare degli stessi all’atto del pagamento al beneficiario”, provvedendo altresì ad effettuare i relativi versamenti nonché all’adempimento degli obblighi dichiarativi e certificativi ad essi conseguenti, ai sensi e per gli effetti rispettivamente dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/97 e dell’art. 4 del DPR n. 322/98.

Viene così individuata una novella ipotesi di sostituzione tributaria, ossia di fattispecie in cui l’obbligazione tributaria è posta a carico di un soggetto (il sostituto, appunto) diverso da colui che realizza il presupposto del tributo (definito invece sostituito), nonché, nell’eventualità in cui il locatario opti per la cedolare secca in dichiarazione, di regime fiscale sostitutivo.

Diversamente, ossia qualora non venga esercitata l’opzione per la cedolare secca da parte del proprietario, continua ad applicarsi il regime ordinario IRPEF, ma rimane l’obbligo a carico degli intermediari e dei gestori telematici di effettuare la ritenuta, anche se quest’ultima rappresenta un mero acconto sull’Irpef liquidata in dichiarazione. La disposizione in commento introduce quindi una nuova ipotesi di ritenuta alla fonte accanto a quelle previste dagli artt. 23 e ss. del DPR n. 600/73, la misura della cui aliquota (pari al 21%, appunto) è peraltro assolutamente inedita e non trova alcun parallelismo nel nostro ordinamento (l’importo delle ritenute alla fonte oscilla infatti generalmente tra i 20 e i 30 punti percentuali), e la cui mancata applicazione da parte dell’intermediario o del gestore è punita con la sanzione amministrativa di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 471/97 (“Violazioni dell’obbligo di esecuzione di ritenute alla fonte”), pari al 20% dell’ammontare non trattenuto, ovvero, in caso di superamento del tetto di 150.000 euro per periodo d’imposta, della pena della reclusione da 6 mesi a 2 anni, ai sensi dell’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000.

Ai medesimi obblighi sostitutivi non sfuggono nemmeno i soggetti non residenti. Al riguardo, il comma 5-bis, inserito in sede di conversione, individua modalità differenziate di adempimento degli obblighi sostitutivi predetti, a seconda che tali soggetti operino o meno in Italia per il tramite di una stabile organizzazione.

Nel primo caso, i non residenti adempiono agli obblighi sostitutivi per mezzo della stabile organizzazione.

Per i soggetti non residenti privi di stabile organizzazione, si rende viceversa necessaria la nomina, nelle forme di cui all’art. 1, comma 4, del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, di un rappresentante fiscale, da individuarsi tra le categorie di soggetti menzionate dall’art. 23 del D.P.R. n. 600/1973, che risponde in solido con l’impresa estera per gli obblighi di determinazione e versamento dell’imposta.

Peraltro, giacché la norma fa riferimento tanto ai soggetti non residenti che incassano i corrispettivi o i canoni di locazione, quanto a quelli che intervengono nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, ci si potrebbe domandare cosa accade nel caso in cui, rispetto ad una medesima transazione, intervengano più soggetti distinti. È il caso ad esempio di Airbnb, che opera in Italia per mezzo di una società controllata (Airbnb Italy), la quale tuttavia si occupa, secondo il suo statuto, solamente di “marketing per annunci relativi a locali, appartamenti o strutture ricettive per soggiorni turistici”, mentre il contratto tra gli utenti e la piattaforma viene stipulato con una società irlandese (Airbnb Ireland) e i servizi di pagamento fanno capo ad una controllata inglese (Airbnb Payments UK Ltd). Ebbene, in tal caso, è da escludersi che gli obblighi sostitutivi possano essere assolti, secondo quanto disposto dal comma 5, dalla controllata italiana, unico soggetto del gruppo residente in Italia. Piuttosto, è da ritenersi che trovi applicazione la fattispecie di cui al comma 5-bis, ossia che debba intervenire un atto, rilasciato dalla società irlandese ovvero da quella residente nel Regno Unito, che nomini la controllata italiana quale rappresentante fiscale ai sensi dell’art. 23 del DPR n. 600/1973.

Tanto i soggetti residenti che non residenti di cui sopra, sono altresì tenuti, ai sensi del comma 4 dell’art. 4, a trasmettere i dati relativi ai contratti conclusi per il loro tramite – secondo quanto precisato in sede di conversione – “entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello a cui si riferiscono i predetti dati”.

Codici tributo 1919

L’genzia delle Entrate con la Risoluzione del 05/07/2017 n. 88 emanata dalla Direzione Centrale Amministrazione, Pianificazione e Controllo istituisce il codice tributo per il versamento, tramite modello F24, della ritenuta operata all’atto dei pagamenti ai beneficiari di canoni o corrispettivi, relativi ai contratti di locazione breve: si tratta del codice “1919”.

In sede di compilazione del modello F24, il codice tributo è esposto nella sezione “Erario”, esclusivamente in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”, con l’indicazione nei campi “Rateazione/regione/prov/mese rif.” e “Anno di riferimento” del mese e dell’anno cui la ritenuta si riferisce, rispettivamente nei formati “00MM” e “AAAA”.

Nell’ipotesi in cui la ritenuta sia versata dal rappresentante fiscale di un operatore estero, va presa in considerazione la sezione “Contribuente”. In tal caso, diventa necessario indicare il codice fiscale del rappresentato, intestatario della delega, mentre il campo “Codice fiscale del coobbligato, erede, genitore, tutore o curatore fallimentare” accoglie quello del rappresentante, intestatario del conto di addebito, insieme al codice “72” (da riportare nello spazio “codice identificativo”).

Inoltre, se si versa più del dovuto, è possibile recuperare in compensazione l’eccedenza dai successivi pagamenti relativi allo stesso anno con il codice tributo “1628” (risoluzione 13/2015). Va, invece, utilizzato il “6782” (risoluzione 9/2005) in caso di compensazione da versamenti dell’anno seguente.

Sanzioni per gli intermediari

Il mancato ottemperamento ai suddetti obblighi di monitoraggio e trasmissione dei dati comporta l’applicabilità, a carico dei medesimi, della sanzione amministrativa, modulabile da un minimo di 250 ad un massimo di 2000 euro, di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 471/1997 (“Altre violazioni in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto”), corrispondente alla misura sanzionatoria applicabile in caso di omissione di ogni comunicazione prescritta dalla legge tributaria, della mancata, incompleta o non veritiera risposta ai questionari, dell’inottemperanza all’invito a comparire e a qualsiasi altra richiesta da parte dell’Amministrazione finanziaria o della Guardia di finanza.

L’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 4 prevede tuttavia la riduzione alla metà dell’importo sanzionatorio suddetto qualora la trasmissione o la correzione dei dati precedentemente comunicati mediante successivo invio avvenga nel termine (brevissimo) di 15 giorni successivi alla scadenza. La riduzione alla metà della sanzione costituisce una previsione di buon senso, che si mostra in continuità d’intenti con analoga previsione contenuta nell’art. 11 del D.Lgs. n. 471/1997, ai commi 2-bis e 2-ter, concernenti le ipotesi di mancata o errata trasmissione delle fatture emesse e ricevute e dell’omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche ai fini IVA, così come previsto dagli artt. 21 e 21-bis del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.

In ultimo, il comma 6 dell’art. 4 demanda ad un Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate da emanarsi entro 90 giorni la fissazione delle modalità attuative degli obblighi sostitutivi, informativi e di monitoraggio affidati agli intermediari immobiliari e ai gestori dei portali telematici, anche con riferimento alla trasmissione e conservazione dei dati relativi ai contratti conclusi per il loro tramite.

Imposta di soggiorno

L’intervento innovativo di maggiore portata sulle locazioni brevi è indubbiamente rappresentato dall’attribuzione, alle medesime categorie già destinatarie degli obblighi sostitutivi sopra riportati, del ruolo di responsabili per il pagamento dell’imposta di soggiorno di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 23/11 e del contributo di soggiorno per Roma Capitale.

Come noto, l’imposta di soggiorno, così come il contributo di soggiorno, rappresenta uno dei molteplici strumenti, cessato il sistema dei trasferimenti statali agli enti locali, destinati ad alimentare la fiscalità comunale. Peraltro, il nuovo comma 7 dell’art. 4 del Decreto in commento consente agli enti che hanno facoltà di applicare l’imposta di soggiorno, in deroga al blocco all’aumento dei tributi locali disposto dall’art. 1, comma 26, della L. 28 dicembre 2015, n. 208, di “istituire o rimodulare l’imposta di soggiorno e il contributo di soggiorno medesimi”.

L’art. 4 del D.Lgs. n. 23/2011 dispone, al comma 1, che “i Comuni capoluogo di Provincia, le unioni di Comuni nonché i Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio”.

Al di là di tale definizione, i contorni della disciplina del tributo risultano tuttavia appena abbozzati. In effetti, nello stringato disposto normativo sopra riportato, il legislatore si è limitato ad individuare unicamente quanto di stretta necessità, ossia il presupposto del tributo, costituito dal soggiorno nelle strutture ricettive localizzate entro il territorio degli enti locali impositori, nonché i soggetti passivi, rappresentati dagli ospiti di tali strutture.

A seguito della conversione in legge del D.L. n. 50/2017 convivono dunque due differenti regimi di responsabilità all’interno dell’imposta di soggiorno. Gli albergatori e gli operatori turistici che nelle locazioni brevi non si avvalgono né di intermediari né di portali telematici risultano meri agenti contabili ai fini dell’applicazione del tributo, anche perché i contratti da essi stipulati con gli ospiti si configurano come contratti di albergo e non locazioni brevi. Al contrario, gli intermediari immobiliari e i gestori dei portali telematici sono chiamati ad assumere il ben più oneroso ruolo di responsabili d’imposta. Si introduce pertanto un trattamento preferenziale per i primi che è difficile da razionalizzare e da giustificare, tanto alla luce dei principi di uguaglianza e di capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost., quanto in un’ottica di tutela della libertà di iniziativa economica e di parità concorrenziale ai sensi rispettivamente degli artt. 41, comma 1, e 117, comma 1, lett. e) Cost. In questo quadro, appare ineludibile un intervento del legislatore, chiamato, pur non azzerandola, a rivedere però sostanzialmente la disciplina del tributo, auspicabilmente attribuendo il ruolo di responsabili d’imposta anche ai gestori delle strutture ricettive.

È peraltro singolare che la disciplina del responsabile d’imposta con riguardo all’imposta di soggiorno sia stata introdotta proprio nel periodo in cui il più noto dei portali telematici, Airbnb, si mostra particolarmente attivo nel concludere intese con i singoli Comuni al fine di definire il proprio ruolo rispetto alla riscossione e al versamento dell’imposta di soggiorno nelle locazioni brevi.

Locazioni brevi: consulenza fiscale

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