Posso liberamente rinunciare all’usufrutto? Quale procedura occorre seguire?
L’usufrutto è un diritto reale che riguarda una cosa (un bene). Il diritto reale per eccellenza è la proprietà. L’usufrutto è un diritto reale di godimento di un bene altrui (mobile o immobile), con il rispetto della sua destinazione economica e delle limitazioni imposte dalla legge.
L’usufrutto, casi classici sono quelli degli immobili e delle quote societarie, deriva da un contratto dove un soggetto decide di concedere, gratuitamente (con donazione) o dietro il pagamento di un corrispettivo, l’usufrutto vitalizio su un bene. L’aspetto importante da considerare è che l’usufrutto non deriva mai direttamente da una successione, ma è frutto di un contratto tra le parti contraenti. Ci sono tuttavia degli aspetti che riguardano il testamento, ma sono situazioni particolari.
Il diritto di usufrutto, come la maggior parte dei diritti reali di godimento, è un diritto disponibile. Questo significa che il titolare del diritto di usufrutto può trasferire tale diritto ad altri soggetti oppure può rinunciare al diritto stesso.
Capire questi aspetti è molto importante quando ci troviamo di fronte alla possibilità di arrivare a capire se e come rinunciare all’usufrutto. Vediamo, quindi, cosa prevede la legge in merito.
Indice
La durata vitalizia dell’usufrutto
Possiamo dire che è il contratto stesso di costituzione di questo diritto reale a stabilire la sua durata temporale. In ogni caso l’usufrutto non può durare più della vita dell’usufruttuario. Questo significa che se muore il titolare di questo diritto, l’usufrutto non passa agli eredi ma la nuda proprietà si riunisce all’usufrutto. Contrattualmente, le parti posso quindi stabilire una durata di 100 anni, ma resta il fatto che l’usufrutto terminerà prima con il decesso dell’usufruttuario.
Se l’usufruttuario è una società, un ente o un’associazione, l’usufrutto non può durare più di 30 anni. Non esiste, insomma, l’usufrutto perpetuo.
Una volta cessato l’usufrutto, il nudo proprietario vede riespandersi il suo diritto che, da nuda proprietà, torna ad essere proprietà piena ed esclusiva sul bene.
Cosa può fare l’usufruttuario nell’esercizio del suo diritto?
Una volta costituito il diritto, l’usufruttuario ha una serie di poteri che gli garantiscono di godere del bene (mobile o immobile) ricevuto in usufrutto come se fosse il proprietario ma rispettando la destinazione del bene. Egli non può quindi venderlo, distruggerlo o alterarne la natura (non può ad esempio trasformare un giardino in un parcheggio o un’abitazione in un ufficio in caso di usufrutto immobiliare).
L’usufruttuario però può cedere il suo diritto di usufrutto (venderlo o donarlo) o concedere il bene in affitto ad altre persone (trattenendo per sé il canone). Può anche costituire un’ipoteca sull’usufrutto stesso. L’usufruttuario deve utilizzare il bene come se fosse il proprietario e con la diligenza del buon padre di famiglia. Il nudo proprietario conserva i diritti che non sono attribuiti all’usufruttuario. Per cui egli può vendere la proprietà del bene su cui è costituito l’usufrutto senza che ciò comporti la cessazione dell’usufrutto.
Come si rinuncia all’usufrutto?
Il titolare di un usufrutto può sempre rinunciarvi in qualsiasi momento. Questi non è quindi costretto a mantenere l’usufrutto fino alla sua scadenza. La rinuncia peraltro non richiede il consenso del nudo proprietario.
La rinuncia dell’usufrutto deve essere comunicata al nudo proprietario con atto scritto. Infatti, è solo da quando questi ne ha notizia che la rinuncia ha efficacia. Tale atto va trascritto nei registri immobiliari (se l’usufrutto riguarda l’utilizzo di un bene immobile). In questo caso, per i terzi, la rinuncia ha effetto proprio dalla trascrizione nei registri immobiliari.
Una rinuncia non trascritta è valida tra le parti, ma inefficace nei confronti dei terzi (problema dell’opponibilità ai terzi), con la conseguenza che questi ultimi potrebbero validamente continuare a ritenere usufruttuario il rinunciante.
Come detto, una volta ricevuta la comunicazione di rinuncia, il titolare del bene in oggetto non può opporsi alla scelta dell’usufruttuario. Da sottolineare che la rinuncia all’usufrutto deve essere totale. Non è possibile, quindi, mantenere l’usufrutto solo su una parte del bene.
Le parti sono libere di strappare il precedente contratto e firmarne uno nuovo con nuove condizioni come un diverso termine di scadenza dell’usufrutto.
La comunicazione di rinuncia all’usufrutto
Come detto, per rinunciare all’usufrutto è necessario una comunicazione (da trascrivere nei pubblici registri immobiliari, in caso di usufrutto immobiliare). Proprio per questa ragione, è necessario che la rinuncia avvenga con un atto scritto fatto davanti a un notaio (cosiddetto atto pubblico) oppure con una scrittura privata autenticata dal pubblico ufficiale (che di solito è sempre il notaio).
Il primo effetto della rinuncia è di ristabilire i diritti di proprietà piena ed esclusiva in capo al nudo proprietario.
Quali imposte legate alla rinuncia all’usufrutto?
Chi intende rinunciare all’usufrutto deve innanzitutto pagare il notaio che redige l’atto pubblico o l’autentica sulla scrittura privata.
Nel caso di rinuncia all’usufrutto di beni immobili si deve tenere in considerazione che è necessario versare l’imposta di registro, l’imposta ipotecaria e quella catastale. In particolare, l’atto di rinuncia di usufrutto immobiliare ricade nell’ambito di applicazione:
- Dell’imposta di registro, se effettuata dietro compenso (ossia a titolo oneroso);
- Dell’imposta sulle successioni e donazioni, se si tratta di rinuncia a titolo gratuito (ossia a titolo di donazione).
Esempio di rinuncia all’usufrutto
Una situazione operativa collegata al diritto di usufrutto che ci è capitato di affrontate è stato il caso di un’azienda di famiglia, una SNC che gestisce alcune proprietà immobiliari. Il padre, titolare del 50% delle quote ha lasciato la nuda proprietà delle stesse ai figli lasciando la propria quota in usufrutto alla moglie. Adesso, dopo diversi anni, la situazione operativa, di gestione della società si è modificata, portando i figli ad essere i veri gestori della società. In quest’ottica è stata valutata l’ipotesi di far rinunciare alla madre il proprio diritto di usufrutto riunendo la proprietà sui figli, che potrebbero così beneficiare della piena proprietà sulle quote societaria con una diversa e più proporzionata suddivisione dei redditi societari.
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