Reverse Charge: guida all’applicazione in Fattura

Come si gestisce l’inversione contabile con la Fattura Elettronica? In che modo reverse charge interno ed estero devono essere gestiti con la fatturazione elettronica? E-Fattura in Reverse Charge, per quanto riguarda le operazioni attive che per quelle passive.

Negli ultimi anni il meccanismo di inversione contabile (reverse charge) ha assunto un’importanza sempre maggiore nella disciplina IVA.

Vuoi per la scelta del legislatore UE di utilizzare l’inversione contabile per gli scambi di beni tra Paesi membri, vuoi per contrastare alcuni fenomeni di evasione fiscale tipici di alcuni settori economici.

Il rischio, in questo caso, era che il cedente/prestatore incassasse l’IVA dai propri clienti senza provvedere al suo versamento all’Erario.

In ogni caso, l’impiego dell’inversione contabile, sia nelle operazioni di scambio di beni tra Paesi membri sia nelle operazioni realizzate nel mercato interno, ha prodotto importanti.

L’utilizzo del reverse charge ha determinato, nei traffici internazionali, un certo aumento delle ipotesi di evasione dell’imposta. Mentre nelle operazioni interne ha portato ad una sua riduzione.

In questo articolo voglio concentrare la mia attenzione sulla disciplina dell’inversione contabile. In particolare sulle modalità di applicazione dell’E-Fattura in Reverse Charge.


E-Fattura in Reverse Charge: il meccanismo dell’inversione contabile

Il reverse charge costituisce una deroga al normale funzionamento dell’IVA, in cui è il cedente o prestatore ad incassare l’imposta e a versarla all’Erario. Così come disposto dall’articolo 17, comma 1, del DPR n 633/72.

Infatti, nel caso in cui operi il reverse charge, debitore dell’imposta diventa il cessionario o il committente che provvede ad “assolvere” l’IVA.

In sostanza, il cessionario/committente deve annotare la E-fattura in Reverse Charge ricevuta (e debitamente integrata), ovvero l’autofattura autonomamente predisposta.

L’annotazione avviene sia nel registro delle fatture emesse che in quello degli acquisti con distinta numerazione. Facendo riferimento al numero raggiunto nelle fatture di vendita e a quello delle annotazioni delle fatture d’acquisto registrate fino a quel momento.

Questa doppia numerazione ed annotazione sui registri di un unico documento determina l’assolvimento dell’imposta. La quale, tuttavia, verrà materialmente riscossa dall’Erario quando l’operatore economico riaddebita l’IVA ai propri clienti, nella successiva cessione di beni o prestazione di servizi, a cui all’atto dell’acquisto era stata applicata l’inversione contabile.

Esempio di reverse charge

Ipotizza un bene acquistato del valore di € 1.000, con IVA di € 100 (aliquota 10%). In questo caso, il cessionario adempie agli obblighi sopra descritti e, mediante la duplice annotazione (nel registro delle fatture emesse e in quello degli acquisti), fa emergere un’IVA a debito ed un’IVA a credito, entrambe di € 100. In sede di liquidazione dell’imposta, questo da luogo ad un saldo (per questa operazione) pari a zero.

Tuttavia, quando il cessionario vende il prodotto, che per semplicità si suppone venduto al doppio, non può vantare alcuna IVA a credito. Con la conseguenza che la correlata fattura di vendita del bene fa emergere un’IVA a debito di € 200 (il 10% di € 2.000), che deve essere interamente versata.

Operazioni in esenzione IVA

Di fatto, l’inversione contabile garantisce l’attribuzione del bene alla sfera patrimoniale del soggetto passivo. Mentre per l’Erario l’acquisizione dell’imposta dovuta è differita alla successiva fase di vendita del prodotto.

Chiaramente, nel caso in cui il soggetto passivo soffrisse di qualche limitazione alla detrazione dell’imposta, il reverse charge non riconoscerebbe al cessionario un totale annullamento del debito verso l’Erario. Ma tuttavia, imporrebbe l’obbligo di versare la quota parte dell’IVA non detraibile.

Ad esempio, supponendo l’acquisto di un’autovettura al prezzo di € 10.000, l’imposta indetraibile sarebbe di € 1.320. In quanto il cessionario che si trovasse ad assolvere l’imposta (pari a € 2.200 di IVA) mediante il reverse charge avrebbe una limitazione oggettiva alla detraibilità del 60%. Questo ai sensi dell’articolo 19-bis1, comma 1, lettera c), del DPR n 633/72.

Quest’ultima somma (di € 1.320) non concorre come IVA a credito nella liquidazione dell’imposta. Perciò ne determina il suo versamento. A questo punto, è possibile comprendere perché questa procedura determina effetti così diversi quando viene utilizzata in ambito unionale (per operazioni intraunionali) o nelle operazioni interne.

Effetti del Reverse charge

Risulta, infatti, evidente che l’applicazione di un’aliquota zero consente, nelle operazioni interne, di escludere dal materiale incasso dell’IVA categorie di soggetti passivi di cui si teme la fedeltà fiscale, imponendo loro l’obbligo di emettere le fatture senza possibilità di applicare la rivalsa dell’imposta.

Diversamente, negli acquisti intracomunitari la ricezione di fatture senza addebito di IVA consente a tutti i soggetti passivi IVA (dunque anche a quelli meno fedeli) di acquisire beni senza versare l’imposta ai propri fornitori.


Autofattura e integrazione della fattura ricevuta

L’utilizzo dell’inversione contabile nelle operazioni internazionali o in presenza di cedente/prestatore operatore economico non stabilito in Italia (c.d. reverse charge esterno) trova amplissima applicazione in ambito UE ed internazionale.

Vi è, infatti, obbligo del cessionario/committente di predisporre un’autofattura ovvero di utilizzare, previa integrazione, la fattura ricevuta dai propri fornitori, ai fini dell’assolvimento dell’imposta.

Si tratta di soluzioni che non sono tra loro alternative. Infatti, la predisposizione dell’autofattura o l’integrazione del documento ricevuto dipendono unicamente dal soggetto che effettua la cessione o la prestazione.

In generale, se il cedente/prestatore è un operatore nazionale o di un altro Paese membro UE il documento emesso deve essere soltanto integrato. Diversamente se è un operatore di altri Paesi o territori extra-UE, il cessionario o committente è obbligato ad autofatturarsi.

E-Fattura con San Marino

Tuttavia, sono previste delle eccezioni all’obbligo dell’autofatturazione quando le operazioni interessano i rapporti con soggetti sammarinesi.

Al riguardo, il D.M. 24 dicembre 1993, relativo ai rapporti di interscambio tra l’Italia e San Marino, prevede che, dopo un acquisto di beni effettuato presso operatori sammarinesi, l’acquirente italiano per assolvere l’imposta, mediante l’inversione contabile, debba attendere la fattura emessa dal proprio fornitore sammarinese, a cui l’Ufficio tributario di San Marino ha apposto il proprio timbro.

Analogamente, per le prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, rese anche in questo caso da operatori sammarinesi, con la C.M. n. 30 del 20 aprile 1973 (emessa dall’allora Ministero delle Finanze) è stato precisato che, se in possesso della fattura emessa dal prestatore sammarinese al momento in cui l’operazione si considera effettuata, il committente italiano può integrare il documento ricevuto anziché autofatturarsi.

Un ulteriore aspetto da tenere presente riguarda le operazioni poste in essere da soggetti non residenti, presenti sul territorio dello Stato tramite un rappresentante fiscale o una identificazione diretta, i quali non sono mai tenuti ad emettere fattura per operazioni territorialmente rilevanti in Italia. Questo allorché il cessionario/committente è soggetto passivo IVA stabilito in Italia, in quanto l’adempimento continua a gravare su quest’ultimo, che, a seconda delle diverse situazioni, assolve l’imposta mediante autofatturazione, ovvero integrazione della fattura emessa da operatori di altri Paesi UE, provvedendo, in entrambe le ipotesi, alla doppia annotazione.

In questo senso si è espressa l’Agenzia delle entrate con la risoluzione del 20 febbraio 2015, n. 21/E, dove si sottolinea che il documento emesso dal rappresentante fiscale non assume rilevanza ai fini IVA.


Operazioni realizzate da operatori residenti in altri Paesi UE

Per quanto attiene alle operazioni in ambito UE, l’assolvimento dell’imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile è previsto dal DL n 331/93.

Norma che si limita a disciplinare il reverse charge negli acquisti intracomunitari, dove i beni sono materialmente introdotti in Italia da altri Paesi membri UE.

Tuttavia, questa procedura, disciplinata dagli artt. 46 e 47 del Decreto n 331/1993, è stata richiamata anche nell’articolo 17, comma 2, ultima parte, per consentire l’assolvimento dell’imposta con le medesime modalità sia per le cessioni di beni che per le prestazioni di servizi territorialmente rilevanti in Italia. Questo quando il cedente/prestatore è un soggetto passivo residente in un altro Stato membro UE.

In presenza di queste operazioni “interne”, il cessionario/committente, soggetto passivo stabilito in Italia, deve attendere la fattura emessa dal soggetto passivo di altro Stato membro e deve integrarla con l’aliquota e l’imposta dovuta, oppure con annotazione sulla stessa del regime (esenzione, non imponibilità, ecc.) nel caso l’imposta non sia dovuta.

Termini di registrazione della fattura

Per quanto riguarda i termini di annotazione nei registri, l’articolo 47, comma 1, del DL n 331/1993 prevede che il documento ricevuto deve essere integrato e annotato nel registro delle fatture emesse (ovvero in quello dei corrispettivi) entro il giorno 15 del mese successivo alla ricezione.

La fattura deve essere, altresì, annotata anche nel registro degli acquisti, ai fini della detrazione entro il termine di presentazione della dichiarazione dell’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto.

In ogni caso, il termine di ricezione della fattura non può eccedere il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione. Infatti, la mancata ricezione della fattura entro tale termine impone al cliente, soggetto passivo stabilito, di emettere autofattura entro il giorno 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione ed entro lo stesso termine provvedere all’annotazione nel registro delle fatture emesse con riferimento al mese precedente.

La circostanza che si debba fare riferimento alla data di effettuazione dell’operazione impone di dover distinguere gli acquisti intracomunitari dalle altre operazioni per le quali il termine di riferimento è dato dall’articolo 6 del DPR n 633/72.

In pratica, per gli acquisti intracomunitari è previsto che si debba fare riferimento alla data di inizio del trasporto o della spedizione al cessionario o a terzi per suo conto dal territorio dello Stato membro di provenienza.

Diversamente, se gli effetti traslativi si producono in un momento successivo, gli acquisti si considerano effettuati nel momento in cui si producono tali effetti. Comunque, al più tardi, dopo il decorso di un anno.

In ogni caso, pagamenti anticipati da parte del cessionario nell’ambito di un acquisto intracomunitario non risultano rilevanti ai fini IVA. Questa circostanza, peraltro, comporta che la mancata ricezione della fattura per un anticipato pagamento non impone al cessionario nazionale di dover regolarizzazione l’operazione.

Operazioni diverse dagli acquisti intracomunitari

Passando ora alle altre operazioni, diverse dagli acquisti intracomunitari, realizzate da soggetti passivi di altri Paesi UE e territorialmente rilevanti in Italia, si rileva, che ai fini dell’individuazione della data di effettuazione, occorre riferirsi ai principi dettati dall’articolo 6 del DPR n 633/72, i quali sono sensibilmente diversi.

Ad ogni modo, mentre non si riscontrano differenze sostanziali per le cessioni di beni, per le quali, anche in questo caso, vale la data di consegna o spedizione (salvo le ipotesi in cui gli effetti traslativi si producono posteriormente), più articolata si presenta l’individuazione del momento di effettuazione delle prestazioni di servizi B2B (territorialmente rilevanti) ed in particolare per quelle c.d. generiche.

Infatti, per le prestazioni diverse da quelle “generiche” (rinvenibili negli artt. 7-quater e 7- quinquies del D.P.R. n. 633/1972) la data di effettuazione è, comunque, quella dell’avvenuto pagamento del corrispettivo. Al contrario, per le prestazioni generiche (di cui all’art. 7-ter del DPR n 633/72) la data di riferimento dell’operazione (in linea di principio) è quella di ultimazione della prestazione.

Ne consegue che, in sede di applicazione del meccanismo dell’inversione contabile da parte del soggetto passivo stabilito nello Stato, l’integrazione della fattura emessa dal fornitore UE può essere effettuata solo se tale documento contabile perviene entro il secondo mese successivo all’ultimazione dell’operazione.


Operazioni realizzate da operatori residenti in Paesi extra UE

Passando ora alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi territorialmente rilevanti in Italia, ma realizzate da soggetti passivi stabiliti in Paesi non aderenti all’Unione Europea, occorre, preliminarmente, rilevare come il cessionario/committente soggetto passivo stabilito in Italia non debba attendere alcun documento.

Questo in quanto l’inversione contabile viene realizzata attraverso l’emissione di autofattura, secondo le previsioni dell’articolo 21 del DPR n 633/72.

Per le cessioni di beni in parola, il cessionario, soggetto passivo stabilito in Italia, deve autofatturarsi entro il giorno in cui avviene la consegna o spedizione ovvero entro il giorno in cui si realizza l’effetto traslativo della proprietà.

In questa ipotesi, la fatturazione differita (entro il 15 del mese successivo all’effettuazione dell’operazione) non sembrerebbe poter trovare applicazione in quanto, dal tenore dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, emergerebbe che il documento di trasporto o documento equipollente dovrebbe essere emesso dal soggetto passivo non residente.

Tuttavia, una simile interpretazione appare troppo rigida se rapportata alla possibilità di differimento della fattura in caso di cessioni da parte di operatori nazionali.

Per questo motivo si è più propensi a ipotizzare che, in presenza di un documento che attesti il trasporto, il cessionario possa emettere autofattura entro il giorno 15 del mese successivo alla consegna dei beni.

Per quel che attiene le prestazioni di servizi, occorre distinguere, in quanto, per le prestazioni generiche (art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972) ricevute, il committente si deve autofatturare entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione (12), vale a dire la data di ultimazione (art. 6, comma 6, del D.P.R. n. 633/1972).

Annotazione della autofattura

L’annotazione della autofattura deve essere effettuata:

  • Nel registro delle fatture emesse entro il termine di emissione e con riferimento al mese di effettuazione delle operazioni;
  • Nel registro degli acquisti anteriormente alla liquidazione periodica nella quale è esercitato il diritto alla detrazione della relativa imposta e, al più tardi, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno di ricezione della fattura (anno in cui il diritto alla detrazione è sorto) e con riferimento al medesimo anno.

Diversamente, per tutte le altre prestazioni, che non rientrano nell’alveo delle prestazioni generiche, l’autofattura deve essere emessa ed annotata, nel registro delle fatture emesse entro lo stesso giorno in cui l’operazione si considera effettuata, vale a dire la data del pagamento.

Parimenti, la fattura dovrà essere annotata nei termini sopra richiamati anche nel registro degli acquisti, segnatamente al più tardi entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto.


Utilizzo dell’inversione contabile nelle operazioni nazionali (c.d. reverse charge interno)

Il meccanismo dell’inversione trova applicazione anche quando operatori stabiliti svolgono la propria attività in determinati settori, ovvero effettuano particolari operazioni.

In questa sede, non si intende entrare nel dettaglio delle tipologie di operazioni interessate, elencate al quinto e sesto comma dell’art. 17 e ai commi 7 e 8 dell’art. 74 del DPR n 633/72, ma si ritiene più proficuo, per gli obiettivi che ci si è prefissati, esaminare soltanto le procedure da utilizzare per l’assolvimento dell’imposta.

A tal fine è stabilito che il cessionario/committente riceva una fattura senza addebito d’imposta, con l’indicazione “inversione contabile”, e debba provvedere alla sua integrazione con l’imposta dovuta.

Entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento a tale mese, la fattura dovrà essere integrata con l’imposta dovuta ed annotata nel registro delle fatture emesse.

Solo per fare un esempio, si ipotizzi una prestazione realizzata in dicembre 2018, per la quale il cessionario riceve la fattura dal prestatore il giorno 10 gennaio 2019.

La fattura dovrà essere integrata con l’imposta eventualmente dovuta (è possibile che l’operazione possa essere anche non imponibile od esente) e dovrà essere annotata nel registro delle fatture emesse al più tardi entro il 31 gennaio 2019 (“entro il mese di ricevimento”) e concorrerà alla liquidazione del mese di gennaio (da effettuare per i soggetti mensili il 16 febbraio).

Per quanto riguarda il registro degli acquisti, sarà possibile effettuare l’annotazione della fattura solo successivamente alla sua integrazione, concorrendo alla detrazione a partire dalla liquidazione relativa al mese di gennaio.

Laddove il cedente o il prestatore non abbia emesso la fattura, il cessionario o committente, trascorsi i quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione, entro i 30 giorni successivi, ne deve informare l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate competente nei propri confronti, assolvendo l’imposta mediante autofattura e la sua annotazione sul registro delle fatture emesse e in quello degli acquisti.

Fatture emesse con contenuto non regolare

Parimenti il cessionario o committente dovrà operare in caso di fatture emesse, ma dal contenuto irregolare. Da ultimo, occorre ricordare che con la risoluzione n. 28/E del 28 marzo 2012 è stato specificato che le fattispecie di inversione contabile oggettiva ribaltano sempre sul cessionario/committente (qualunque sia la sua qualità di soggetto stabilito o meno) il ruolo di “debitore dell’imposta”.

Il citato documento di prassi, infatti, afferma che le regole connesse al reverse charge oggettivo, in un’ottica di lotta alla frode, si applicano alle fattispecie previste “nelle ipotesi in cui il debitore dell’imposta non sia già individuato, sulla base di altre norme, nel cessionario o committente”.

Inoltre, la risoluzione precisa che, in sede di applicazione dell’inversione contabile oggettiva, “il debitore dell’imposta e` da individuarsi in ogni caso nel cessionario, ove soggetto passivo ai fini IVA, anche se non avente né sede né stabile organizzazione in Italia, indipendentemente dal fatto che il soggetto passivo cedente abbia la sede o la stabile organizzazione in Italia e dal fatto che tale ultimo soggetto sia identificato ai fini IVA in Italia”.


E-Fattura in Reverse Charge

Dal 1˚ gennaio 2019 è entrato in vigore l’obbligo per i soggetti passivi d’imposta stabiliti in Italia, di emettere e ricevere fatture elettroniche per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi intercorse:

  • Sia con altri soggetti passivi (c.d. fatturazione B2B);
  • Sia con consumatori finali (c.d. fatturazione B2C).

Sono esclusi dalla Fattura Elettronica quelli che beneficiano della franchigia per le piccole imprese, vedi i soggetti in Regime Forfettario.

L’obbligo di emettere o ricevere fattura non riguarda le operazioni intercorse con soggetti non stabiliti in Italia. Operazioni per le quali si deve continuare ad emettere le fatture in formato cartaceo.

In proposito, vale la pena di rilevare come l’Agenzia delle entrate abbia formulato un importante principio collegato con l’emissione (facoltativa) della fattura elettronica.

Si tratta del principio di alternatività tra emissione della Fattura Elettronica e presentazione del c.d. Esterometro. Questo principio è stato pubblicato con la FAQ n 30 del 27 novembre 2018.

Il principio si presenta di particolare interesse ai fini della semplificazione degli adempimenti per gli operatori stabiliti in Italia.

E-Fattura in Reverse Charge non esclude l’esterometro

Occorre rilevare che l’obbligo di presentare l’Esterometro non viene meno nel caso in cui il soggetto stabilito sia destinatario di una cessione/prestazione da parte di un non stabilito. Questo anche nel caso in cui il destinatario italiano provveda ai propri adempimenti di debitore dell’imposta in modalità elettronica.

In pratica, tutte le operazioni in cui l’imposta è assolta dal cessionario committente in base alle disposizioni di cui all’articolo 17, secondo comma, del DPR n 633/72 (reverse charge esterno) non sono interessate dalla fattura elettronica.

Ebbene, il cessionario/committente potrebbe voler emettere per esigenze proprie una autofattura elettronica. Ovvero, questi potrebbe integrare la fattura ricevuta in modalità elettronica. Tuttavia, nonostante sia stato emesso un documento elettronico, rimane l’obbligo di presentazione dell’esterometro.

E-Fattura per Reverse Charge Interno

Diverso è il caso delle operazioni interessate dal reverse charge interno che intervengono tra soggetti stabiliti in Italia. Operazioni di cui all’articolo 17, commi quinto e sesto, del DPR n 633/72.

Nelle FAQ pubblicate sul sito dell’Agenzia delle entrate e nella Circolare n 13/E/2018 è stato chiarito che in caso di reverse charge interno la fattura elettronica emessa dal cedente prestatore, in cui è stato riportato il codice “N6”, può essere “integrata elettronicamente” dal cessionario committente attraverso la predisposizione di un altro documento.

Al riguardo, potrebbe sorgere qualche dubbio, in quanto sembrerebbe che il SDI si troverebbe a gestire i dati in forma duplice.

Questa autofattura deve contenere in particolare “l’identificativo IVA dell’operatore che effettua l’integrazione sia nel campo del cedente/prestatore che in quello del cessionario/committente – può essere inviato al Sistema di Interscambio e, qualora l’operatore usufruisca del servizio gratuito di conservazione elettronica offerto dall’Agenzia delle entrate, il documento verrà portato automaticamente in conservazione”.

Peraltro, sulla base dei chiarimenti contenuti nella risoluzione n. 28/E/2012, è stato riconosciuto che anche il soggetto non stabilito debba assolvere l’imposta mediante inversione contabile, in presenza di operazioni oggettivamente soggette a questo meccanismo.

Tuttavia, appare opportuno chiedersi, in questi casi, come operi l’obbligo di emissione di fattura elettronica, che, come detto, non coinvolgerebbe i soggetti non stabiliti.

E-Fattura in Reverse Charge ed esterometro: casistiche

Le ipotesi da esaminare sono tre:

  • Cedente/prestatore stabilito e cliente non residente;
  • Cedente/prestatore non residente e cliente soggetto stabilito;
  • Entrambe le parti soggetti non stabiliti.

In nessuna delle tre fattispecie sorgerebbe l’obbligo di emettere un documento elettronico. Tuttavia, nel primo caso l’emissione di fattura elettronica da parte del fornitore (fermo restando la consegna al cliente della fattura in formato cartaceo) gli evita di dover presentare anche l’esterometro.

Nella seconda ipotesi, qualora il cessionario committente decida di integrare la fattura ricevuta ovvero di emettere autofattura in formato elettronico, ciò non gli evita di dover presentare l’esterometro.

Nella terza ipotesi, è sempre il cessionario a dover assolvere l’imposta, sicché nel caso in cui quest’ultimo sia un operatore non residente dovrebbe necessariamente nominare un proprio rappresentante fiscale o identificarsi in Italia.

In ogni caso, in questa fattispecie, non sorge alcun obbligo di emettere fattura elettronica, né di presentare l’esterometro.

E-Fattura in Reverse Charge per evitare l’esterometro

Tornando, alle modalità di emissione della fatturazione elettronica da parte del cedente/prestatore nazionale che intenda, comunque, emetterla per evitare l’esterometro, l’Agenzia delle entrate, nel corso dell’incontro con la stampa specializzata del 23 gennaio 2019, ha sostenuto che ciò sarebbe possibile.

Segnatamente, il cedente/prestatore dovrebbe emettere una fattura indicando la partita IVA del soggetto passivo non residente che si è identificato ovvero ha nominato un proprio rappresentante fiscale in Italia ed inoltre indicare il valore predefinito “0000000” nel campo “codice destinatario” della fattura elettronica, salvo che il cliente non gli comunichi uno specifico indirizzo telematico (PEC o codice destinatario).

Le fatture elettroniche trasmesse al SdI saranno poi messe a disposizione dei cessionari/committenti nelle loro specifiche aree riservate del sito dell’Agenzia delle entrate.

Si ritiene opportuno, inoltre, che il cedente/prestatore consegni al cliente una copia (in formato cartaceo) della fattura elettronica inviata al SdI evidenziando a quest’ultimo che potrà acquisire l’originale del documento nella sua area autenticata del sito dell’Agenzia delle entrate.

E-Fattura in Reverse Charge per operatori in regimi di vantaggio

Gli operatori che rientrano nel regime di vantaggio o nel regime forfettario e gli operatori identificati (anche attraverso rappresentante fiscale) in Italia non hanno, invece, l’obbligo di emettere le fatture elettroniche e di conservarle elettronicamente.

Un ultimo dubbio che potrebbe sorgere riguarda il così detto transfer (invio a sé stesso di beni in altro Stato membro, che l’articolo 41 del DL n 331/1993 assimila ad una cessione intracomunitaria) effettuato da un soggetto stabilito in Italia, con destinazione verso altro Stato membro, in cui lo stesso soggetto nazionale opera mediante un numero identificativo attribuito da quest’ultimo Stato di destinazione dei beni.

In questo caso, il cedente è certamente un soggetto stabilito nello Stato, ma sarebbe tale anche il cliente, che nel diverso Stato membro ha solo una identificazione IVA.

Indubbiamente, la fattispecie appare piuttosto paradossale e meritevole di qualche precisazione da parte dell’Agenzia delle entrate.

Questa fattispecie non dovrebbe comportare l’obbligo di emissione della fattura elettronica da parte del cedente nazionale (fermo restando la facoltà di emetterla, indicando, come sopra detto, nel codice destinatario presumibilmente “XXXXXXX”), senza che ci sia l’obbligo di presentazione dell’esterometro, atteso che questo adempimento riguarderebbe solo le operazioni effettuate nei confronti di soggetti “non stabiliti”.



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